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Intervista a Daniela Iannone: fare di una passione un lavoro



Se leggeste la biografia del profilo Instagram di Daniela Iannone, rimarreste non poco impressionati: scrittrice, sceneggiatrice, costruttrice di sogni, viaggiatrice e stimatrice del buon cibo e, se scorreste anche un po’ tra le sue foto, vedreste quanto altro faccia ( sì, ho visto quel cosplay di Maleficent ed è semplicemente magnifico! ).

Potevo farmi sfuggire l’occasione di chiacchierare con una persona così ricca di personalità?

Leggete un po’ cosa ha da dirci!




Iniziamo subito con una domanda abbastanza generica: se non avessimo la possibilità di leggere la descrizione sul tuo profilo Instagram e non avessi un limite di parole, come ti descriveresti e presenteresti?

Molti mi chiedono perché ho scelto la scrittura. Io rispondo che è una cosa che non si sceglie. Sono fermamente convinta che ognuno nasca con un potenziale. Io l'ho solo seguito.


Quanto il fatto di essere una sceneggiatrice influenza lo stile dei tuoi libri e quanto lo scrivere romanzi influenza le tue sceneggiature?

Tutto ciò che scrivo, "lo vedo", vedo le scene, vedo i personaggi agire proprio come se fosse già un film. Quando scrivo è già tutto un film e già tutto un libro.


E pensi che questo sia un vantaggio oppure a volte ti sembra di non riuscire a descrivere tutto ciò che immagini?

Non l'ho mai visto come uno svantaggio. È il mio stile. Il mio modo di vedere la storia.


Ricordi la tua primissima esperienza di scrittura? O comunque quella a cui sei più affezionata o che ritieni il tuo “punto di partenza”?

Alle elementari ho cominciato a scrivere dei racconti brevi su un quaderno perché amavo fare i temi, ma ce ne erano troppo pochi per i miei gusti! Così scrivevo da sola. Non mi bastava mai. Sono molto legata a quell'idea.


E ti è mai capitato di riprendere una storia scritta tempo fa e rielaborarla, ultimarla?

No, se qualcosa l'ho lasciata a metà è perché non avevo più nulla da dare ed è giusto così. Credo che non si debba mai forzare nulla. Vedo che molti si fanno degli schemi, si danno obbiettivi giornalieri per numero di pagine. Io scrivo solo quando la storia me lo chiede, quando "serve". Per me la scrittura non è un modo "per tirare fuori le mie emozioni". Per me è un lavoro e pertanto deve essere fatto bene non solo per se stessi come una terapia personale, ma come qualcosa che poi va a qualcun altro.


Beh, la scrittura, come la lettura, non dà buoni frutti se imposta, si sa e sono d’accordo con te nel vedere la scrittura come un qualcosa che serva a chi legge. Mi viene però in mente un’altra domanda, visto che hai detto che si tratta di lavoro e che non scrivi per tirare fuori le tue emozioni: ti capita spesso di scrivere qualcosa che ti è stato imposto e proprio non ti piace? Imposti nella stessa maniera il tuo lavoro, quando succede?

Ho fatto la ghost writer diverse volte, anche per le sceneggiature. Imposto il lavoro secondo le disposizioni e le idee del committente, ma è inevitabile la traccia del mio stile. Il modo di impostare le battute o la narrazione. A volte piace, a volte no e devo dire che faccio molta fatica a tenere vivo l'interesse quando la persona non accetta consigli che renderebbero la futura lettura più interessante e fluida.


So cosa vuol dire dover modificare il proprio lavoro per volere di altri ed è molto pesante continuare a lavorare, ma è qualcosa che dobbiamo fare. Se invece dovessi descrivere il tuo stile in poche parole, cosa diresti?

Linguaggio scorrevole e colloquiale. Mai ampolloso.


C’era da aspettarselo da chi è sia scrittrice che sceneggiatrice, c’è quella capacità in più di tenere legato il lettore alle parole. Se dovessi scegliere un solo genere di cui scrivere per il resto della tua vita, quale sarebbe e perché?

Il thriller tutta la vita. Amo il mistero, investigare, fare ricerche. Se non ci sono morti ammazzati non mi diverto!


Sadica, eh?

No non molto. Anzi ti dirò che non riesco a vedere gli horror. Io arrivo quando il morto è già pronto! Non amo la violenza.


Allora è più una questione di investigazione e risoluzione del problema: mi piace!

Si è solo investigazione. Sulla scia di Montalbano se vogliamo. Ora però sto scrivendo la storia di un delitto che non verrà mai risolto. Questo lavoro mi piace particolarmente, perché l’assassino dovrà faticare per rendere tutto perfetto. Per me è un lavoro inverso. Cercare un modo per NON risolvere il caso.


Bellissimo! Adoro le storie impossibili! Come reputi il tuo percorso fino ad ora? Poniamola in maniera drastica: cosa hai dovuto passare?

Purtroppo, si passa per il "bullismo" dei lettori che snobbano gli esordienti. Se non si ha un cognome famoso o non si è in vista, si pensa che si valga meno o addirittura nulla. Si seguono le mode, le correnti. A volte le sceneggiature con il mio nome non sono state nemmeno lette. Le stesse sceneggiature, con altri nomi sono state definite "geniali" e hanno persino vinto dei premi. Purtroppo, tutto questo è molto triste e ingiusto. Difficile credere che un giorno possa cambiare.


Purtroppo, è una cosa che non cambia mai, il nome è la prima cosa ad essere letta e quella a cui viene data più importanza e sottolineo “purtroppo”. È anche per questo che hai fatto la ghost writer? Io penso che non riuscirei proprio a resistere, mi è sempre sembrata una sorta di ingiustizia per chi c’è veramente dietro.

Lo è e l'ho fatto per necessità perché si lavora anche per uno stipendio, però è stato anche molto soddisfacente. Dentro di me dico "vedi? Questo l'ho scritto io e non tu". Una piccola rivalsa personale.


Non l’avevo mai vista da questo punto di vista, ha un suo perché e ovviamente è pur sempre lavoro. Prima ti ho chiesto il tuo genere preferito, ma ora ti chiedo: cosa ti piace meno scrivere? C’è un genere di cui scrivi solo per dovere e che preferiresti non affrontare mai?

Le storie d'amore adolescenziali e le biografie. Le persone pensano di dover scrivere la storia della propria vita per qualsiasi cosa. Non sopporto le storie delle malattie superate, per esempio. Io ho una malattia genetica che colpisce i muscoli e mi impedisce di camminare, ma non ho mai pensato che potesse interessare qualcuno come vivo la mia quotidianità. Non mi sento una prescelta e una power ranger con poteri speciali solo perché vivo una vita normale, ma su una sedia a rotelle. Quindi non sopporto chi pensa di dover scrivere di essere un guerriero. È una cosa che non capisco, non ne vedo l'utilità. Sono vicende personale alle quali può bastare un diario. Per me la mia malattia è un altro ostacolo nel mondo letterario, perché la gente mi chiede continuamente se scrivo di disabilità o di malattia e restano tutti stupiti quando dico che invece dietro quelle copertine ci sono thriller.


Questo è ancora perché le persone si fermano alle apparenze. Dover “convivere con” una malattia non vuol dire “vivere per” quella, non deve far parte di ogni aspetto della propria vita, anzi, penso sia più che normale non volerla trovare. Poi, per quelli che si autodefiniscono abbastanza importanti da dover meritare una biografia non hanno ancora capito che la storia è il miglior filtro che esista e che si possono scrivere mille biografie su una persona, ma, se non sarà veramente stata importante, nessuno la conoscerà davvero.

Nei thriller che scrivi, cosa preferisci inserire? Un messaggio, una morale, una fotografia di un tipo di persona in particolare, un viaggio nella psiche...?

Ogni libro è una storia a sé con dei personaggi specifici. C'è il buono, il pazzo, quello di cui non ci si può fidare, a volte tutti e tre in una stessa persona. L'elemento che forse compare assiduamente è quello che vive con difficoltà, tipo il commissario gay che non viene accettato dalla famiglia, la ragazza con qualche chilo in più che viene presa in giro a scuola. Tutti ostacoli che i personaggi superano con fatica, ma che li hanno resi forti a tal punto da affrontare la vita. Ecco, forse la mia malattia viene descritta sotto altre forme, con esempi pratici che possono trovarsi nella vita di ognuno e non di quelli che hanno una malattia degenerativa. Alla fine, i problemi sono uguali per tutti. Anche se devo dire di non essere mai stata presa in giro a scuola né di essere omosessuale. Mi guardo intorno, scopro le persone, le osservo al supermercato, alla posta. Vedo le loro frustrazioni, i loro tic e alla fine nasce il personaggio.


E, se dovessi consigliare le tue opere a qualcuno o qualche tipo di persona in particolare, chi o quale sarebbe?

Agli amanti dei dettagli, a quelli che vogliono leggere qualcosa di non troppo impegnativo. Per leggere i miei libri non serve nessuna passione particolare, per esempio la storia, la religione, la filosofia. Sono storie comuni. Lo sconsiglio ancora sotto i 14 anni, comunque. Soprattutto il primo, il volto dello specchio che ha come tema centrale la prostituzione e gli ambienti torbidi dei ricatti e delle deviazioni mentali. Lo sconsiglio perché se non si legge bene, si può cogliere solo questo aspetto.


E, per finire, qual è il consiglio che dai a chi vuole intraprendere questa strada?

È una domanda che mi fanno spesso. Dico sempre che, come ho detto all'inizio, che non è una cosa che si scegli o si forza. Infatti, a volte, mi criticano perché ho pubblicato con una casa a pagamento, ma io ho pagato per dei servizi, tipo l'editing, la pubblicità sui quotidiani, la distribuzione. Tutti servizi che chi auto pubblica non ha e così diventa tutto un gran minestrone! Se è una passione innata, non si ha bisogno di consigli, se è solo un hobby, non si ha bisogno di consigli!




Se avete una passione, seguitela, anche se questo comporta fatica e delusioni. Fatelo, ma solo se tutti i sacrifici non vi sembreranno dei grandi massi da sopportare, bensì delle incredibili opportunità da sfruttare.


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