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“Io Khaled vendo uomini e sono innocente” di Francesca Mannocchi ( Einaudi Editore )


Di che pasta eravamo fatti tutti nel 2011? Metà dittatura e metà rivoluzione, ma che ne sapevamo noi della libertà, noi che non eravamo mai stati liberi e, proprio perché non eravamo mai stati liberi, non sapevamo di essere schiavi.

Mi risulta difficile parlare di questo libro, fino ad oggi non ero ancora riuscita a scrivere una recensione non solo per via dello studio, ma perché si è trattato di una lettura così forte che non riesco a trovare le parole giuste per descriverla.

Khaled organizza gli imbarchi clandestini dei “negri” dalla Libia, Khaled è un pesce medio, perché essere pesci piccoli vuol dire farsi mangiare da quelli più grossi ed essere pesci grossi vuol dire farsi mangiare dai politici; se sei un pesce medio, hai quella giusta quantità di potere che ti permette di farti rispettare e di comprarti un paio di case in Turchia, per il resto, il rischio non vale la spesa. Khaled ha combattuto per la rivoluzione, lui c’era, quando Gheddafi è stato assassinato, lui ha aiutato a catturarlo ed era lì anche quando la Libia è passata da una prigionia ad un’altra.

Una scrittura cruda, spaventosamente realistica e attuale, una scrittura che, nonostante riesca a provocare solo emozioni dolorose, non stanca e si fa leggere in maniera naturale, come se fosse un bisogno vitale, perché questa è una lettura che tutti, ad oggi, dovrebbero compiere: le descrizioni, le storie, i flussi di coscienza, i ricordi, tutto contribuisce alla confessione di Khaled, al suo dichiararsi innocente è colpevole allo stesso tempo, alla sua accusa nei confronti di tutti gli altri, di tutti noi, anche me, anche te, tutti, perché tutti siamo colpevoli di non fare nulla, di non dire nulla, di coprirci gli occhi, di guardare altrove, per poi continuare con le nostre vite e dimenticarci che le onde dovrebbero portare a riva conchiglie, non corpi senza vita.

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