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#HungerGamesReviewParty "Ballata dell'Usignolo e del Serpente", Suzanne Collins




“Gli Snow si posano in cima.”

Miei balbettanti! Benvenuti all'ultimo episodio di questo magnifico Review Party! Per l'ultima volta (che tristezza!), facciamo un piccolo riepilogo prima di cominciare, ci siete?

Il 19 maggio, in contemporanea mondiale, la Mondadori regalerà ai lettori Tributi italiani l'opportunità di leggere l'attesissimo prequel di "Hunger Games", una delle saghe più amate: "Ballata dell'Usignolo e del Serpente", che Suzanne Collins ha deciso di ambientare durante i 10i Hunger Games.

Per festeggiare questo bellissimo evento, si è deciso di organizzare un grandissimo Review Party non solo del nuovo arrivato, bensì di tutta la saga, per rispolverarla un po' ed emozionarci ancora una volta grazie alla sua bellissima storia o, per chi non l'ha ancora letta - cosa state aspettando? -, per scoprirla e innamorarsene proprio come abbiamo già fatto noi e continuiamo a fare ogni volta che ne sfogliamo le pagine o ne guardiamo le trasposizioni cinematografiche.


La Collins ci ha regalato tre fantastici libri:

- Hunger Games

- Catching Fire (in Italia, La ragazza di fuoco)

- Mocking Jay (in Italia, Il canto della rivolta)

In questo, questo e questo articolo, vi ho parlato dei tre libri della saga (andate a recuperarli, se ve li siete persi), quindi, adesso è la volta dell'attesissimo, nuovissimo, bellissimo, altissimo, purissimo e levissimo (mmmh... c'è qualquadra che non cosa qui!) prequel:


BALLATA DELL'USIGNOLO E DEL SERPENTE


Come detto nelle precedenti due recensioni, questo Review Party serve anche a far conoscere questa storia a chi non le ha ancora dato un'opportunità (cosa aspettate?), quindi, ho deciso di dividere questa recensioni in due parti: la prima può essere letta da chiunque, perché senza spoiler (non dirò più di quanto dica già la trama presente nella quarta di copertina); la seconda ha più l’obiettivo di commentare alcuni tratti del romanzo, sviscerandone alcuni aspetti, e, quindi, è destinata a chi o ha già letto il libro in questi primi giorni dalla sua uscita o è immune a qualsiasi spoiler e vuole già soddisfare la propria curiosità!

Prima, però, vorrei sottolineare quanto sia bella l’edizione cartacea di questo romanzo: la grafica interna allo stesso tempo razionale e futurista, la copertina rigida nera con i dettagli lucidi e la sovracopertina dai colori vivi, il disegno - in rilievo - originale, ma comunque legato a quello della Ghiandaia e la superficie che, al tatto, è morbida e dà l’impressione di star toccando un qualcosa in camoscio.

La Mondadori non delude mai! Unica pecca - anche se non so se sia un caso o meno - riguarda i bordi della copertina rigida, che si sono rovinati praticamente subito.


Ora, però, passiamo alla recensione!



NESSUNO SPOILER


È la mattina della mietitura che inaugura la decima edizione degli Hunger Games.

A Capitol City, il diciottenne Coriolanus Snow si sta preparando con cura: è stato chiamato a partecipare ai Giochi in qualità di mentore e sa bene che questa potrebbe essere la sua unica possibilità di accedere alla gloria. La casata degli Snow, un tempo potente, sta attraversando la sua ora più buia. Il destino del buon nome degli Snow è nelle mani di Coriolanus: l’unica, esile, possibilità di riportarlo all’antico splendore risiede nella capacità del ragazzo di essere più affascinante, più persuasivo e più astuto dei suoi avversari e di condurre così il suo tributo alla vittoria.

Sulla carta, però, tutto è contro di lui: non solo gli è stato assegnato il distretto più debole, il 12, ma in sorte gli è toccata la femmina della coppia di tributi.

I destini dei due giovani, a questo punto, sono intrecciati in modo indissolubile. D’ora in avanti, ogni scelta di Coriolanus influenzerà inevitabilmente i possibili successi o insuccessi della ragazza. Dentro l’arena avrà luogo un duello all’ultimo sangue, ma fuori dall’arena Coriolanus inizierà a provare qualcosa per il suo tributo e sarà costretto a scegliere tra la necessità di seguire le regole e il desiderio di sopravvivere, costi quel che costi.



Quando si parla di nuovi libri legati a una saga di successo e pubblicati dopo tanti anni dalla fine di quest’ultima, oltre all’inevitabile hype che si viene a creare, si ha sempre quella paura di vedere infrante le proprie aspettative o, peggio, la stima nei confronti dell’autore, che sembra essersi dimenticato le basi del mondo che lui stesso aveva creato - noooooooo, non sto mica parlando de La Maledizione dell’Erede della Rowling, cosa ve lo fa pensare? - e che, quindi, ci fa pentire di averlo persino comprato, quel libro.

Bene, avete presente questa sensazione orrenda di mondo che ti crolla addosso? Dimenticatela, quando iniziate a leggere Ballata dell’Usignolo e del Serpente della Collins, perché - signore e signori, rullo di tamburi! - abbiamo finalmente un prequel degno della saga originale!


La trama si può definire originale, soprattutto perché, quando si parlava di possibili libri connessi alla trilogia, tutti immaginavamo un libro sulla Seconda Edizione degli Hunger Games - quella di Haymitch, insomma - o su quella di Maggs, di Finnick o di Johanna oppure un libro sui Giorni Bui e sulla distruzione del Distretto 13 e, invece, Suzanne Collins ha deciso di dedicare questo lavoro così atteso e importante alla figura più temuta (o forse no? A me ha sempre messo ansia, come personaggio, più di altri!) della saga: il Presidente Snow.

Tuttavia, la storia inizia quando, della Presidenza, non se ne vede neanche l’ombra e quando Snow è ancora un diciottenne chiamato Corio dalle persone a lui più vicine. Coriolanus non è ancora quell’uomo con gli occhi da serpente che sembra riuscire a manipolare e controllare tutti, il veleno non ha ancora cominciato a distruggergli l’interno della bocca, però profuma già di rose, le rose che coltiva la signoranonna e che lo accompagnano soprattutto nei momenti più difficili.

La Capitol City in cui vive Snow è diversa dalla Capitol City a cui siamo abituati, persino Panem è diverso: nonostante non ci sia assolutamente alcuna incoerenza - anzi, ci sono molte cose che confermano e anticipano degli aspetti importanti della storia di Katniss -, il mondo in cui Coriolanus vive è diverso da quello che abbiamo conosciuto tramite lo sguardo di Katniss e, con esso, anche gli Hunger Games. Tutto sembra allo stato grezzo o perché ancora dilaniato dalla guerra terminata da dieci anni o perché alle prime esperienze: Capitol City, insieme a tutto Panem, non vuole ricordare la sofferenza provata in guerra e non sopporta gli Hunger Games, che sembrano ancora un esperimento, un qualcosa da perfezionare, qualcosa che deve coinvolgere i cittadini.


Il libro è lungo più di 450 pagine, ma si lascia leggere molto facilmente, perché la storia non solo intriga, bensì è raccontata in una maniera tale che venga spontaneo passare da un capitolo all’altro; la narrazione, a differenza della trilogia, è al passato e in terza persona, anche se si concentra comunque su ciò che succede a Corio, rendendo il punto di vista non totalmente imparziale, bensì spesso e volentieri condizionato dagli stati d’animo del protagonista, dal suo modo di pensare e di comportarsi. Tuttavia, abbiamo modo di conoscere diversi personaggi, ognuno dei quali con una personalità ben definita e che, anche nel momento in cui il personaggio a cui appartiene non ha avuto modo di avere molto spazio a sua disposizione, viene comunque resa immediatamente comprensibile attraverso descrizioni, gesti, parole.

Le descrizioni sono spesso dettagliate, ma mai noioso, proprio perché è come se fosse Snow a parlarci e Snow è carismatico, sa sempre la maniera giusta in cui parlare, mostra già dei piccoli sintomi di ciò che diventerà, anche se vi stupirete probabilmente di vedere un lato completamente diverso di questo personaggio e di come gli avvenimenti che è costretto ad affrontare plasmeranno il suo carattere fino a farlo diventare il Presidente che tutti conosciamo (e temiamo, aggiungerei).


Un libro capace di sorprendere, emozionare, incuriosire, tenere con il fiato sospeso e rimanere sempre imprevedibile, paragrafo dopo paragrafo.

Sicuramente un bel regalo per noi Tributi!


Scorrete verso il basso per un ultimo saluto e qualche link e immagine utile, dopo la recensione spoilerosa e pericolosa!



ALLARME SPOILER


Allora, io non so se la Collins avesse già in mente - almeno a grandi linee - cosa fosse successo durante i primi anni post Giorni Bui e come fossero organizzati i primi Hunger Games, ma una cosa è certa: è riuscita ad aggiungere dettagli che, seppur diversi da ogni cosa che che ci avesse già detto tramite la voce di Katniss, risultano coerenti in una maniera così coerente da far quasi paura e avvicinarsi alla genialità. Ci sono due possibilità: o la Collins si era già creata nella mente un’idea del passato di Panem per creare il mondo in cui si è ritrovata poi Katniss e, questa volta, gli ha solo dato più carattere e l’ha arricchito di dettagli e avvenimenti che, avendo le idee chiare, difficilmente avrebbero dato vita ad incongruenze oppure ha inventato di sana pianta questa storia andando a ritroso rispetto a quella della Ghiandaia Imitatrice, riprendendone sia alcuni aspetti importanti che delle piccole chicche che si è divertita ad inserire come legami tra le due trame. Fatto sta che il lavoro fatto è sorprendente.


Partiamo dai tratti principali del romanzo: diviso in tre parti - Il Mentore, Il Premio e Il Pacificatore -, il suo titolo può essere interpretato in diverse maniere, in quanto sia Coriolanus che Lucy Gray si presentano a volte come usignoli e a volte come serpenti; i pochi mesi del 10º anno dalla Guerra che vengono raccontati ci mostrano una situazione diversa da quella che ci aspettavamo di trovare, ma che, pensandoci, ha assolutamente senso. Tutti hanno vissuto la Guerra, tutti hanno sofferto e visto la Morte in faccia durante i Giorni Bui e nessuno sembra ancora pronto a tornare alla normalità, né nei Distretti né a Capitol, sia per questioni prettamente economiche e al fatto che le strade e gli edifici sono ancora mezzi distrutti sia per una questione legata ai traumi vissuti, al dolore e alla paura provati che sembrano ancora non voler andar via.


Anche gli Snow ne sono usciti distrutti : ormai, della nobile e antica famiglia degli Snow, sono rimasti solo la signoranonna, Coriolanus e sua cugina Tigris (sì, quella Tigris, ma vi parlerò più tardi dei vari interessanti riferimenti e collegamenti con la trilogia), il loro attico con le rose sul tetto e pochissimi, pochissimi soldi; è per questo motivo che questo nuovo compito, quello di fare da mentore ad uno dei tributi, diventa importantissimo, perché è l’unico modo per garantirsi il Premio per pagare la retta universitaria e intraprendere la carriera degna di uno Snow. È tragicomico leggere le previsioni della signoranonna su come Capitol City avrebbe rivisto sfarzo e ricchezza dopo che suo nipote fosse diventato Presidente e di come i Distretti sarebbero finalmente stati messi a tacere, però è altrettanto interessante vedere come il carattere, la mentalità, i modi di Snow vengano plasmati dagli eventi che ci vengono descritti. Tuttavia, una cosa è certa: Snow non è vittima degli avvenimenti, almeno non totalmente.


La Collins sembra fare una sorta di doppio, triplo, quadruplo gioco: da un lato, sembra volerti far empatizzare col protagonista, dall’altro, ti sta dicendo che, in realtà, tutto l’odio, la disumanità, la sete di potere, di rispetto, di incutere timore è già covato al suo interno, tutto è già preannunciato dai suoi gesti studiati, dai toni falsi, dalle frasi sempre dette con un determinato obiettivo, dalla sua incapacità di avere rapporti veritieri e sentiti, perfino all’interno della sua famiglia (no, non sto impazzendo! Se aspettate un po’, vi dico un po’ la mia)


Andiamo in ordine, però.


Corio viene affidato al tributo femmina del 12, il “tributo scarto”, in cui nessuno porrebbe mia fiducia, perché, a quanto pare, Highbottom, il decano dell’Accademia nonché inventore degli Hunger Games, non ripone in lui una particolare simpatia; tuttavia, sembra fin da subito deciso a combattere fino all’ultimo e già da questi primi momenti si può notare come non riponga stima né affetto vero in nessuno dei suoi compagni di Accademia, nemmeno per quegli amici d’infanzia che sembrano volergli bene o, meglio, che sembrano voler bene al Coriolanus che lui ha voluto far loro vedere in questi anni.

È quando arrivano i Tributi, comunque, che si nota una grande differenza con la trilogia: gli Hunger Games sono ancora allo stato grezzo e si presentano in una forma perfino più crudele - l’avreste mai immaginato? - degli Hunger Games a cui siamo stati abituati.


In questo libro, abbiamo modo di capire perché siano proprio i giochi della fame e non - che so? - della morte, della lotta, della sopravvivenza; sono i giochi della fame perché i Tributi sono costretti a patire la fame dal momento in cui partono dai propri Distretti, durante il viaggio in uno sporco treno merci, mentre si trovano nella gabbia delle scimmie dello zoo e nell’Arena, che è una vera e propria arena sportiva (vedete come tutto trova una spiegazione? Perfino ciò su cui non ci eravamo nemmeno posti delle domande) e in cui non tutti riescono ad arrivare vivi o intatti, chi per colpa della fame, chi per la rabbia, chi per dei “tragici incidenti”.

Questa decima edizione, però, è l’edizione del cambiamento, l’edizione in cui i ragazzi di Capitol entrano in contatto con i ragazzi dei Distretti, diventandone i mentori; tuttavia, la vera novità è pensata da Snow stesso, che inizia a proporre l’istituzione del sistema di scommesse e sponsorizzazioni a cui siamo abituati: in sostanza, i 10i Hunger Games sono un nuovo esperimento ed è il punto di svolta per quelli successivi e ogni novità verrà introdotta per mano di Snow (perfino mesi dopo la fine degli stessi, ma ci arriviamo con calma).


Snow, interessato a essere sempre un passo avanti rispetto agli altri mentori, si ritrova a interagire maggiormente col suo Tributo, Lucy Gray, e a provare qualcosa per lei (che sia davvero amore?), fino ad arrivare ad un bacio appassionato pre-giochi e a fare l’impossibile per tenerla in vita: farle portare un portafortuna nell’Arena da trasformare in un’arma e far conoscere ai serpenti geneticamente modificati dalla spaventosa professoressa Gaul - Capo Stratega dei Giochi - l’odore di Lucy Gray per non farla attaccare nell’Arena. Tutto sembra mosso dall’amore per Lucy Gray, ma, in realtà, si tratta solo di ambizione, istinto di sopravvivenza propria, di bisogno e desiderio di ottenere il Premio e il prestigio che gli Snow sono portati ad avere, perché gli Snow, come

la neve, si posano sempre in cima.

Diverso è Seianus Plinth, ragazzo trasferitosi a Capitol dal Distretto 2 grazie alla ricchezza guadagnata dal padre durante la Guerra, che vuole aiutare i Tributi perché crede fondamentalmente che gli Hunger Games siano la cosa più sbagliata che esista e che i cittadini di Panem, a prescindere da dove abitino, sono tutti uguali e Coriolanus non sopporta Seianus, perché Seianus è tutto ciò che lui vorrebbe essere e non può essere e perché Seianus rifiuta in tutti i modi ciò che ha e che Snow vorrebbe avere al posto suo.

La cosa più triste è che Seianus è convinto che Snow sia suo amico e ancora più triste è pensare che sia anche il suo unico amico; Seianus lo vede «come un fratello», crede che gli abbia salvato la vita - quando entra nell’Arena per liberare il corpo martoriato del suo Tributo e Coriolanus è costretto dai Strateghi a prenderlo per portarlo fuori -, ma, in realtà, sarà colui che lo porterà alla morte.


La Collins ci fa capire che Snow è sempre stato spietato; semplicemente, la sua maniera di esserlo è diventata via via più grande e crudele man mano che ha assunto potere.


Quando Lucy Gray vince gli Hunger Games, Snow non ha nemmeno il tempo di salutarla, che viene costretto ad arruolarsi come Pacificatore per non incorrere nelle drastiche conseguenze delle azioni commesse durante i Giochi, ma tutto sembra andare a favore di Coriolanus, persino quando tutto sembra andar male: viene accettata la sua richiesta di essere trasferito al 12, dove spera di trovare la sua ragazza. Sua in un senso non romantico, ma possessivo; anche quando prova gelosia per Lucy Gray, Snow non è geloso dal punto di vista prettamente sentimentale, ma piuttosto gli dà fastidio che qualcuno possa rubargli qualcosa di suo, possa togliergli ancora una volta ciò che aveva di prezioso. Lucy Gray è una sua proprietà e non è una mia supposizione, lo pensa lui e anche con convinzione e fierezza.


Durante il suo periodo al 12, riesce a trovare un modo per far carriera grazie a un suggerimento di Seianus, arruolato anche lui nei Pacificatori, ma di sua volontà, mostrando ancora una volta la differenza tra i due personaggi: Seianus vuole aiutare gli altri, vuole aiutare Snow e il popolo dei Distretti, crede davvero che possa esistere un mondo senza ingiustizie che, se proprio si è costretti a combattere, lo si debba fare per la libertà, mentre Snow è ancora legato agli pseudo valori di Capitol City, nonostante tutte le sventure, tutto ciò che di brutto Capitol lo abbia portato a commettere.

Tuttavia, è quando incontra Lucy Gray e i Covey, che vivono al Giacimento, e quando Corio e Seianus assistono all’impiccagione di un ribelle che le cose iniziano a prendere una piega nuovamente pericolosa, perché Seianus sembra assolutamente convinto a intraprendere la strada della ribellione e Snow, al contrario, è disposto a tradire quello che dovrebbe essere il suo amico e, poi, la ragazza che dice di amare per non compromettere la propria carriera.

Attenzione!

Non per patriottismo, non per un senso di giustizia.

Per ambizione.


È così che Snow fa strada.

È come se passasse di volta in volta a un livello successivo, ma lo Snow dell’inizio è lo stesso Snow che poi abbiamo visto essere ucciso dalla folla dopo l’esecuzione della Coin: si è semplicemente evoluto.


La caratterizzazione del personaggio si conferma formidabile e tutto ciò che gli gira attorno, se si fa attenzione, lascia davvero toccati.


L’odio per le ghiandaie, il non sopportare quelle canzoni che Katniss definirà storiche, ma che è stata proprio Lucy Gray a rendere celebri, la voglia di vivere nello sfarzo, il sadismo nel proporre come motto degli Hunger Games una rivisitazione di una frase di Lucy Gray, l’utilizzo di altri suoi modi di dire anche se odia gli elementi che vengono nominati in essi o il concetto che vi è alla base e, infine, l’uso del veleno, abitudine che sembra avere inizio proprio in questo momento della sua vita e che diventerà la sua inconfondibile, se pur invisibile, firma.


Importante è il ruolo che viene dato infatti al destino, ai segni, ai presagi e agli auspici: tutto sembra collegato, sia all’interno di questa storia che rispetto alla trilogia dedicata a Katniss, con alcune canzoni in comune, le ghiandaie chiacchierone e imitatrici - tanto odiate dal futuro Presidente -, l’erba saetta (in inglese, katniss) che sembra essere il suo mezzo di sostentamento per la sua imminente - ma poi annullata - fuga a nord con Lucy Gray, il fatto che riesca a sfuggire una volta alla morte nel 12, ma che poi comunque morirà a causa di una vincitrice di quel Distretto, il non credere negli innamorati sventurati, la presenza di alcuni cognomi già conosciuti - una conferma su come Capitol City si rifaccia ad una casta ben definita e che quasi mai (come per i Flickerman, tra i quali Lucky non è minimamente carismatico quanto lo sarà Ceasar, suo discendente) si basa sulle qualità e i talenti delle persone, bensì sul mestiere che hanno sempre avuto -, il ricordo del mondo pre-apocalittico che viene portato avanti solo da pochi, il modo in cui Snow cambierà gli Hunger Games e quello in cui terrà i posteri il più all’oscuro possibile sulla figura di Lucy Gray.

Qualche esempio?

Capitol City è il simbolo perfetto della ricchezza - e dello spreco -, le Arene diventeranno più grandi e si arricchiranno di pericoli e ci sarà più interazione tra esterno ed interno dell’Arena stessa, perché il pubblico di Capitol deve divertirsi e, allo stesso tempo, i Distretti devono tremare, mentre i vincitori avranno un premio e una ricca casa in quello che sarà il Villaggio dei Vincitori (non sembra più così strano che Katniss dica che solo tre delle case presenti nel Villaggio del 12 siano state usate, nonostante ci sia stata una misteriosa quanto ignota vincitrice in passato, vero?).


Questo mi porta a parlare di altri due aspetti importanti del romanzo: la differenza tra Corio e Tigris e la differenza tra Corio e Lucy Gray.


Come ho già detto, non credo che Snow abbia un rapporto vero nemmeno con i suoi ultimi due parenti, verso i quali afferma di provare affetto, poiché spesso si ritrova a non vederli diversamente da dei mezzi per il sostentamento o a non approvare i loro punti di vista e, soprattutto dopo questo libro, sappiamo bene quanto Snow non possa provare stima - figuriamoci affetto, che non vorrà dare nemmeno alla sua futura famiglia (che sarà solo una maniera per portare avanti la dinastia degli Snow) - per qualcuno che non la pensa nella sua stessa maniera.

Per quanto riguarda Tigris, l’abbiamo conosciuta nell’ultimo libro della saga, tra i ribelli di Capitol, ma com’è possibile che, anche se cresciuta nella stessa casa e molto affezionata a suo cugino, Tigris gli sia andata talmente contro? Perché Tigris è sostanzialmente diversa da Coriolanus e ha reagito diversamente alle difficoltà della vita: anziché vendicarsi, far provare ad altri la stessa - e più - sofferenza agli altri, Tigris vorrebbe un mondo in cui si possa vivere senza paura e in libertà, in cui non è detto che si debba per forza vivere nello sfarzo, ma che almeno si possa arrivare tutti con la pancia piena a fine giornata.


Tigris, però, non è l’unica figura con cui la mentalità di Snow entra in collisione, perché anche la sua visione dell’umanità si trova a un polo completamente opposto rispetto a quella che ha Lucy Gray e, trovandosi alle due estremità, ovviamente sono entrambe in parte vere e in parte false, seppur tutt’e due formatesi dopo l’esperienza nell’Arena.

Se Lucy Gray pensa che l’essere umano sia per natura buono e portato a compiere atrocità solo a causa delle condizioni in cui si trova, Snow pensa che, al contrario, l’uomo finga di essere buono (come lui?), ma che, quando nessuno può vederlo o giudicarlo, quando si trova al buio, quando viene portato a mostrare la sua vera natura per sopravvivere, si mostra profondamente cattivo. Una vera e propria bestia, un animale, esattamente come venivano presentati i Tributi allo zoo.


Tante tematiche, tanti spunti di riflessione, tanti riferimenti (che, anche se fossero solo per fanservice, comunque sono così convincenti e inseriti in maniera mai forzata che non potrebbero mai essere criticati) racchiusi in un romanzo non solo evento, bensì rivelazione.


Non avremmo potuto pretendere di meglio.

Chapeau, Suzanne. Anzi, grazie.

Un libro degno della saga a cui appartiene.

Un Prequel che dà il suo con-Tributo alla trilogia (RISATE).




Miei balbettanti, è stato un piacere accompagnarvi per mano nel cuore di questa magnifica saga a cui sono affezionata da anni e che - ora posso dirlo con ancora più orgoglio e commozione - mi ha segnata e cambiata ogni volta che l'ho riletta e rivista e vi ringrazio per aver scelto di percorrere con me questi passi all'interno di Panem, spero di avere altre occasioni così emozionanti!

Qui vi lascio un po' di link che vi potrebbero essere utili e dei promemoria per le recensioni di questo evento: fatene buon uso e... alla prossima!





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